Messa a punto nuova tecnica non invasiva in grado di diagnosticare la sindrome di Down nel periodo fetale attraverso un esame del sangue materno. Lo annuncia sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Science) un gruppo di ricercatori della Stanford University (California). La sindrome di Down si verifica quando un bambino ha tre e non due copie del cromosoma 21. L’esame individua anche altre alterazioni cromosomiche come la sindrome di Edward, che uccide la metà dei bambini nella prima settimana di vita e la sindrome di Patau, che uccide oltre l’80% dei bimbi nell’infanzia. Il team di Standford ha testato il nuovo esame in un piccolo studio su 18 donne. Il test ha identificato le nove donne con una gravidanza con sindrome di Down e altre tre con feti con diversi disordini cromosomici, scrivono i ricercatori sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences. «E’ il primo test universale, non invasivo per la sindrome di Down. Questo dovrebbe essere il primo passo per mettere fine alle procedure invasive come l’amniocentesi e il prelievo dei villi coriali», ha spiegato Quake, primo autore dello studio. La possibilità di individuare le anomalie genetiche del feto si fonda sul fatto che nel sangue materno circola anche una piccola quantità di sangue fetale. Oggi per la diagnosi prenatale della sindrome di Down si utilizzano l’amniocentesi e la villocentesi, che vengono eseguite in genere dopo la 15esima settimana di gravidanza e hanno un piccolo rischio, intorno all’1%, di provocare un aborto o problemi al feto. Per questo, vengono fatte di routine a donne di età superiore ai 35 anni, che hanno un rischio più alto di avere bambini Down. Quake ha spiegato che il nuovo esame può essere fatto prima degli altri, potenzialmente già alla quinta settimana dal concepimento e i risultati sono pronti in un paio di giorni, contro le due o tre settimane che richiedono altri esami. Secondo lo studioso, il nuovo esame potrebbe essere disponibile in modo ampio entro due o tre anni.
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