Con gli anni, ma non solo, le articolazioni perdono elasticità e si possono verificare fenomeni di artrosi che provocano dolore, fino ad una scarsa mobilità del paziente. In questi casi si ricorre alla protesi d’anca simile a quella visibile nella radiografia qui a lato. L’intervento in se è abbastanza semplice e dura circa un’ora. La fase più delicata e complicata è la progettazione dell’intervento stesso, nella quale si deve calcolare la giusta posizione e inclinazione della protesi che andrà a sostituire l’osso. La pianificazione viene fatta basandosi su delle radiografie a cui vengono sovrapposti dei lucidi con le varie protesi disponibili per trovare la misura più adatta. Un errore di valutazione in questa fase potrebbe comportare un’angolazione della protesi errata, il che si tradurrebbe in una camminata anormale del paziente una volta dimesso. Per la sostituzione totale dell’articolazione dell’anca si utilizzano protesi in lega di titanio non cementate, che permettono al paziente di tornare a camminare già dopo 3 o 4 giorni al massimo dall’intervento. Inoltre, la non cementificazione dell’impianto è un pregio perchè le colle polimeriche utilizzate sono altamente tossiche e provocano necrosi. [Proseguendo nell’articolo, vengono illustrate tutte le fasi principali dell’intervento e per loro natura non sono adatte a persone “sensibili”]
Sopra una protesi in lega di titanio. Da notare la parte “ruvida” del gambo che promuove l’osteointegrazione dell’impianto. A questo punto si riportano i dati, ottenuti precedentemente nella fase preoperatoria, con un pennarello sulla gamba del paziente.
Dopodiché si passa all’operazione vera e propria incidendo la cute e facendo uscire il femore dalla sua sede.
Il chirurgo tramite il bisturi elettrico e aiutato con delle pinze esegue l’approccio al femore.
Una volta raggiunta la zona di interesse si posizionano dei divaricatori fissi che garantiscono al chirurgo ortopedico un’ampio e stabile campo operatorio.
Una volta raggiunto il femore si espone la testa e la si predispone per il passaggio successivo.
A questo punto viene tagliata la parte terminale del femore con un seghetto elettrico. Nella foto il chirurgo tiene nella mano la testa del femore appena rimossa.
Tagliata la testa femorale, si prepara l’alloggiamento della coppa acetabolare con una specie di trapano che raschia la cartilagine e una parte di osso.
Questo è il risultato che si ottiene una volta ultimata la raschiatura.
Con una mazzetta il chirurgo va ad incastrare la coppa acetabolare nell’osso controllando sempre il corretto posizionamento.
Ora l’ortopedico fora il femore, estraendone così il midollo, per preparare il canale femorale che sarà l’alloggiamento del gambo della protesi. Il foro viene fatto di dimensioni minori rispetto all’ingombro effettivo della protesi, per garantire una tenuta e coesione immediata.
Conclusa questa operazione si inserisce la protesi a pressione e si prova a muovere l’arto per accertarsi che tutto sia stato eseguito a regola d’arte.
Salvo imprevisti si riposizionano i tessuti e si sutura il taglio. La ricerca al momento è incentrata nello scovare materiali sempre più biocompatibili e durevoli nel tempo. Infatti, una delle limitazioni maggiori è la durata di questo dispositivo che attualmente si aggira attorno ai 20 anni e a volte anche 30. Passato questo periodo di tempo, si deve reintervenire e sostituire la protesi. Il secondo intevento è sempre più difficile del primo, perchè l’osso perde consistenza e si indebolisce.
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