Tommaso Ferraro, 26 anni, di Ragusa, è uno dei tre italiani affetti da grave forma di cecità ereditaria, l’amaurosi congenita di Leber, sottoposto presso il Children’s Hospital di Philadelphia al primo intervento di terapia genica sull’uomo. «Prima non vedevo neanche le luci, ora riesco a leggere fino a cinque righe del tabellone. È stato operato il mio occhio destro, il più malandato, ma anche il sinistro ha ottenuto benefici». Spiega il Corriere: il complesso intervento è stato svolto da una equipe internazionale che ha visto collaborare l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) ed il Dipartimento di Oftalmologia della seconda Università degli Studi di Napoli assieme, appunto, al Children’s Hospital di Philadelphia. Per chi non lo sapesse la terapia genica è la procedura che consente di trasferire materiale genetico (DNA) allo scopo di prevenire o curare una malattia. Nel caso delle malattie genetiche, in cui un gene è difettoso o assente, la terapia genica consiste essenzialmente nel trasferire la versione funzionante del gene nell’organismo del paziente, in modo da rimediare al difetto. In altre patologie si può invece voler uccidere in modo mirato le cellule patologiche. Solitamente questo approccio è molto diffuso nella terapia genica contro il cancro. Alcuni geni possono essere infatti trasferiti nelle cellule tumorali in modo da causare la morte delle cellule che li ricevono. Un’altra strategia ancora prevede il trasferimento di geni all’interno di cellule malate allo scopo di bloccare il meccanismo alterato che causa la malattia. L’idea di base della terapia genica è semplice, tuttavia la sua realizzazione pratica è un vero e proprio percorso ad ostacoli. Nella conferenza stampa Alberto Auricchio, ricercatore del Tigem e professore all’Università Federico II di Napoli, ha dichiarato: «Ci siamo concentrati sull’amaurosi congenita di Leber, una malattia genetica che colpisce la retina e provoca cecità fin dall’infanzia, in certi casi a partire dall’adolescenza. Dovuta all’alterazione di un gene, abbiamo identificato il gene responsabile ed iniettato il gene sano nelle cellule bersaglio, dove deve sopravvivere abbastanza a lungo per produrre quantità sufficienti di proteina rimediando al difetto genetico. Il successo è stato confezionare un vettore, una navetta biologica (un adenovirus) in grado di trasportare una significativa quantità di Dna all’interno delle cellule bersaglio; un vettore puro e sicuro per la sperimentazione sull’uomo». «L’intervento – rivela il professor Auricchio – è stato eseguito con l’iniezione nello spazio sottoretinico dell’occhio, in anestesia generale ed i tre pazienti italiani, due siciliani e una ragazza di Pavia, dopo solo un mese ci hanno regalato risultati incoraggianti: allargamento del campo visivo, riduzione movimento continuo degli occhi, la capacità sviluppata di evitare ostacoli prima non visibili». Ora si continua a lavorare a grandi ritmi per riuscire a confermare i risultati su altri pazienti. È importante intervenire il prima possibile, per questo, prossimi step saranno allargare la fascia d’età a pazienti più piccoli (dai 3 agli 8 anni) e successivamente concentrarsi per salvare la vista ai neonati (dai 6 mesi ai 3 anni). [foto ghr.nlm.nih.gov]
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