L’infarto del miocardio è una patologia grave (prima causa di morte nella nostra società ) su cui si stanno concentrando parecchie ricerche per individuare sempre più facilmente i cosiddetti soggetti a rischio. Al Congresso nazionale della Società Italiana per le Ricerche Cardiovascolari tenutosi a Imola si è discusso anche della predisposizione genetica all’infarto del miocardio. E, ovviamente, delle opportunità offerte dalla genomica e dalla proteomica che si concretizzano in strumenti di prevenzione importanti per i pazienti. Fumo, diabete, età , obesità sono fattori di rischio conosciuti da molto tempo. «Ma il 50% dei casi di infarto -spiega Federico Licastro, del dipartimento di Patologia- non presenta i classici fattori di rischio». È noto che la deposizione di grassi derivati dal colesterolo nella parete dei vasi sanguigni induca l’attivazione di cellule normalmente presenti in questa zona chiamate macrofagi. Il macrofago, in seguito all’ingestione di questo materiale, è attivato e induce un’anomala risposta infiammatoria che porta alla formazione della temuta placca aterosclerotica. Il test messo a punto dall’equipe del prof. Licastro e dallo spinn off universitario NGB Genetics si basa sullo studio dei polimorfismi allelici di geni coinvolti nella riposta infiammatoria e connessi quindi al rischio infarto. Quello che viene fatto con il test è un campionamento del Dna che permette di confrontare il profilo genetico del paziente, in particolare alcuni geni specifici, con un profilo di rischio messo a punto dall’Istituto sulla base di dati scientifici e statistici di riferimento. La ricerca è portata avanti grazie all’attività dell’Istituto nazionale di ricerca per le malattie cardiovascolari: un consorzio interuniversitario, che riunisce 18 atenei italiani. Tratto da un articolo scritto da Monica Lacoppola per il magazine dell’Univesità di Bologna.
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