Leslie Geddes, ingegnere biomedico presso la Purdue University, ha sviluppato un nuovo metodo per eseguire la rianimazione cardiopolmonare che promette un’efficacia maggiore rispetto alla CPR standard, grazie a un incremento del 25% di sangue che arriva al cuore. La nuova tecnica, se ne verrà comprovata l’efficacia, diventerà quasi sicuramente il nuovo standard, in quanto l’attuale metodo ha una probabilità di successo che varia dal 5 al 10% e dipende fortemente dal tempo che impiegano i soccorritori a iniziare la rianimazione cardiopolmonare. Si calcola infatti che per ogni minuto di ritardo la possibilità di rianimare il paziente diminuisce del 10%. In altre parole, dopo 10 minuti la rianimazione risulta -almeno sulla carta- totalmente inutile. Il nuovo procedimento si chiama OAC-CPR, only rhythmic abdominal compression – cardiopulmonary resuscitation, ovvero rianimazione cardiopolonare con sole compressioni ritmiche addominali. A differenza dell’attuale tecnica, in cui occorrono due soccorritori e si effettua la respirazione bocca a bocca (rischiosa per le malattie trasmesse) con due respiri ogni 30 compressioni, la OAC-CPR prevede un solo operatore che a ogni compressione addominale riesce a pompare il sangue e a comprimere il diaframma creando un’inalazione quasi naturale senza contatti con la saliva del paziente. Il motivo del successo starebbe proprio nella maggiore perfusione coronarica con sangue ossigenato, perché nella CPR standard spesse volte la rianimazine non ha successo a causa del sangue che scorre nella direzione sbagliata lasciando il cuore senza nutrimento. L’ingegner Geddes ha creato anche un prototipo chiamato “pressure applicator”, applicatore di pressione (visibile in foto), con cui è possibile effettuare le compressioni addominali senza intaccare le costole.
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