Il trattamento di cellule di pazienti affetti da distrofia muscolare congenita di Ullrich con ciclosporina A (CsA) funziona bene, riparando il “guasto” che scatena la malattia, proprio come nel modello animale. È questo il primo ottimo risultato di uno studio pilota su 5 pazienti affetti dalla malattia con difetti nel gene per il collagene VI, una proteina che normalmente riveste le fibre muscolari formando una sorta di ragnatela e che manca nei malati. Da studi precedenti era emerso che il meccanismo alla base della malattia risiede nei mitocondri, le “centrali energetiche” delle cellule, che il prof. Bernardi ed i suoi collaboratori studiano da molti anni. Si tratta di un “corto circuito” provocato dall’apertura di un canale mitocondriale che in laboratorio può essere chiuso impiegando la ciclosporina A. Con questo farmaco i ricercatori erano già riusciti a curare le lesioni ai muscoli dei topolini privi del collagene VI, ma rimaneva da chiarire se il farmaco potesse avere efficacia anche nell’uomo. Cinque pazienti (4 affetti da distrofia di Ullrich e 1 da miopatia di Bethlem) con diverse manifestazioni cliniche della malattia poiché portatori di diversi difetti genetici (ma tutti a carico del gene per il collagene VI), sono stati trattati con ciclosporina A. Superando notevoli ostacoli tecnici il team di ricercatori è riuscito a misurare la funzionalità dei mitocondri in biopsie muscolari effettuate sui pazienti prima e dopo il trattamento con CsA, dimostrando che entro un mese dall’inizio della terapia si verifica un netto miglioramento, con diminuzione parallela della morte delle fibre muscolari. Un dato particolarmente incoraggiante è l’aumento della rigenerazione muscolare (soprattutto nei pazienti più piccoli), un dato che fa sperare che il farmaco possa avere degli effetti benefici sul quadro clinico. Va infatti tenuto presente che il muscolo distrofico è in parte sostituito da tessuto connettivo e adiposo, e che è ancora presto per dire se il farmaco sarà in grado di ristabilire almeno in parte la massa muscolare. Lo studio rappresenta comunque un punto di svolta, che permetterà presto di partire con un protocollo clinico su più vasta scala. Il risultato, finanziato in larga parte da Telethon e pubblicato sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), è opera di Luciano Merlini del Dipartimento di Medicina Diagnostica e Sperimentale dell’Università di Ferrara nell’ambito di uno studio diretto presso l’Università di Padova dai professori Paolo Bernardi (Dipartimento di Scienze Biomediche Sperimentali e Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche) e Paolo Bonaldo (Dipartimento di Istologia, Microbiologia e Biotecnologie Mediche). Allo studio hanno partecipato anche altri ricercatori finanziati da Telethon: Nadir Maraldi degli Istituti Ortopedici Rizzoli e dell’Università di Bologna e Alessandra Ferlini dell’Università di Ferrara. [via e maggiori informazioni cnr]
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