Modificare il proprio stile di vita, impegnare parte del tempo e delle energie nella cura della patologia, incidendo pesantemente sui costi dell’assistenza socio-sanitaria. E’ quanto devono affrontare quotidianamente coloro che soffrono di malattie reumatiche, prima causa, secondo l’OMS, di dolore e disabilità in Europa e che, da sole, rappresentano la metà delle malattie croniche che colpiscono la popolazione al di sopra di 65 anni.
Si stima che la spesa complessiva per tutte le malattie reumatiche in Italia superi i 20 miliardi di euro l’anno, di cui circa 1/3 a carico del SSN, mentre i 2/3 sono rappresentati dalla perdita di produttività . Fra le più invalidanti c’è l’artrite reumatoide, che colpisce 400mila persone in Italia, una malattia infiammatoria cronica a decorso progressivo ed elevato potenziale invalidante nelle sue varianti più aggressive, questa patologia può determinare una rapida e gravissima compromissione delle più comuni attività della vita quotidiana, per il combinarsi di dolore e limitazione dei movimenti.
L’impatto sociale è evidente per l’elevato numero di malati, che richiedono una strategia assistenziale personalizzata nell’intero arco della loro vita. Fortunatamente, nel corso degli ultimi anni si sono registrati notevoli progressi sul piano diagnostico e terapeutico. In particolare i farmaci biologici rappresentano una vera e propria rivoluzione nella strategia di trattamento, poiché consentono un rapido ed efficace controllo della sintomatologia e interferiscono con la progressione del danno anatomico. Tra questi tipi di farmaci c’è l’abatacept, come confermano i risultati di numerosi studi. L’artrite reumatoide è una malattia che, in assenza di una terapia adeguata, presenta un decorso cronicamente progressivo. E’ necessario, pertanto, che il trattamento farmacologico mantenga la sua efficacia e tollerabilità nel tempo per assicurare il maggior controllo possibile. Lo studio più lungo condotto su abatacept conferma l’efficacia e la sicurezza del farmaco nel tempo: il 70% dei pazienti dopo 7 anni ha una malattia ben controllata e oltre la metà non ha più sintomi.
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