La donazione del sangue “volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita” (legge 219/2005) è svolta per il ricevente ma in realtà è anche a favore del donatore. Dati scientifici mostrano, infatti, che vi sono una serie di correlazioni cliniche tra donazione periodica di sangue e riduzione del rischio di malattie croniche gravi. Da tempo esistono una serie di prove che dimostrano l’effettiva riduzione del rischio a contrarre una malattia cardiovascolare in soggetti che eseguono almeno una donazione di sangue l’anno. La protezione nei confronti di tali affezioni deriverebbe dai ridotti livelli di ferritina tissutale, e quindi di ferro, che sono conseguenti alla donazione di sangue periodica. È noto, infatti, che le femmine sono protette dall’aterosclerosi rispetto ai maschi, in virtù dei più bassi livelli di ferro tissutale. La mestruazione nelle donne causa una perdita ematica e quindi modula i depositi di ferro nell’organismo. I bassi livelli tissutali di ferro proteggerebbero contro la patologia aterosclerotica per effetto di una ridotta ossidazione delle lipoproteine a bassa densità associate al colesterolo. A sostegno di tale tesi studi sperimentali, clinici ed epidemiologici hanno mostrano che alti livelli di ferro incrementano il rischio di eventi coronarici e la progressione aterosclerotica. Per esempio, esperimenti sugli animali hanno evidenziato una correlazione tra accumulo di ferro proveniente dalla dieta ed incidenza di processi aterosclerotici e di patologie ischemiche a livello cardiaco e cerebrale. In uno altro studio sono stati reclutati dei soggetti associati della Croce Rossa Americana, i quali sono poi stati sottoposti ad indagini sulla dilatazione dell’arteria brachiale, sui parametri plasmatici correlati ai depositi di ferro, ad un eventuale stato infiammatorio dei vasi, al cosiddetto “stress ossidativo”, ai fattori di rischio cardiaci. I livelli di ferritina erano significativamente più bassi nei donatori abituali rispetto a quelli dei soggetti che avevano eseguito solo donazioni di sangue episodiche. Il valore di ematocrito, tuttavia, non era differente nei due gruppi. La dilatazione dell’arteria brachiale, indotta dal flusso ematico, era maggiore nei donatori abituali rispetto ai donatori occasionali. Inoltre, i livelli di 3-nitrotirosina (parametro dello “stress ossidativo”) erano ridotti nei donatori di sangue periodici. In ulteriori esperimenti si è valutato, in modo più specifico, la relazione tra frequenza delle donazioni di sangue ed incidenza d’infarto del miocardio su 2682 soggetti. Nel periodo di osservazione, della durata di circa sei anni, è stato osservato che il rischio di infarto acuto del miocardio nei donatori abituali era dell’86% più basso di quello dei donatori episodici. Fattori quali l’anamnesi, lo stato di salute generale, lo stile di vita e le caratteristiche psico-sociali esercitavano una scarsa influenza su questo fenomeno. In conclusione quindi un’alta frequenza di donazioni di sangue determina una riduzione dei depositi di ferro e dei parametri dello stress ossidativo, aumentando il flusso ematico arterioso. Ciò suggerisce un rapporto positivo tra frequenza delle donazioni di sangue e prevenzione di malattie cardiovascolari. Ma non è tutto. Un recente studio del Centro di Investigazione della Obesita’ e della Nutrizione (CIBERobn) di Santiago di Compostela prova che le donazioni proteggano non solo dalle malattie cardiovascolari ma anche dal diabete di tipo 2. Il diabete mellito di questo tipo era precedentemente definito diabete mellito non insulino-dipendente o diabete ad insorgenza nell’adulto. Le persone con questo tipo di diabete sono, spesso, resistenti all’azione insulinica . Almeno all’inizio, e spesso lungo tutto il corso della vita, questi soggetti non hanno bisogno del trattamento insulinico per la sopravvivenza. Questa forma di diabete resta frequentemente non diagnosticata per molti anni, poiché l’iperglicemia non è severa al punto da dare sintomi evidenti di diabete . Vi sono, probabilmente, diversi meccanismi che conducono a questo tipo di diabete tra cui la predisposizione genetica, l’obesità , la vita sedentaria e a quanto pare anche i livelli di ferro nel sangue. Infatti, secondo lo studio della clinica universitaria spagnola la donazione di sangue in forma controllata permette di equilibrare i livelli di ferro che assorbe l’organismo e di evitare così l’ossidazione dei tessuti. I ricercatori hanno constatato che l’eccesso di ferro nel sangue si associa a un peggior controllo metabolico del diabete di tipo 2 e che i donatori abituali hanno meno resistenza all’insulina, cosa che riduce il rischio di sviluppare la malattia. Lo studio e’ stato condotto su 30 pazienti di almeno 50 anni affetti da diabete di tipo 2 nel centro di Endocrinologia ‘Joseph Trueta’ di Girona, vicino Barcellona. A meta’ di loro e’ stato consentito di donare sangue tre volte in sei settimane (una donazione ogni 15 giorni). “Questi pazienti hanno migliorato sensibilmente il controllo metabolico, la resistenza all’insulina e la funzione vascolare mantenendo lo stesso trattamento medico”, spiega il direttore del progetto, Jose’ Manuel Fernandez-Real. “Il nostro organismo sa come assorbire il ferro, ma non come espellerlo. Esistono trattamenti, ma non sono del tutto innocui. Mentre donare sangue, oltre ad aiutare gli altri, puo’ costituire un modo efficace per espellere ferro, cosa che riduce il rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2” Concludendo, come puntualizza l’Avis (Associazione Volontari Italiani Sangue), i dati secondo cui donare il sangue faccia bene anche ai donatori per prevenire malattie croniche dovrebbe invogliare – chi può- a donare sangue soprattutto in un periodo come l’estate, durante il quale la richiesta aumenta ma i donatori “vanno in vacanza”!
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