Il virus dell’HIV, com’è noto, causa un’intensa e prolungata risposta da parte dell’organismo dell’ospite che porta progressivamente a una diminuzione di funzionalità delle cellule del sistema immunitario CD4+, CD8+ e linfociti T.
Un gruppo di ricercatori del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) degli Stati Uniti ha scoperto che la stessa sorte tocca ai linfociti B, anch’essi coinvolti nella lotta contro le infezioni in atto.
I linfociti B prendono il loro nome da un organo degli uccelli chiamato “borsa di Fabrizio”. Sono cellule che, in seguito a stimolazione, sono capaci di proliferare e trasformarsi in cellule effetrici, le plasmacellule, queste ultime capaci di liberare anticorpi. Gli anticorpi o immunoglobuline sono proteine specifiche che riescono a identificare in maniera precise e pressoché univoca specifici antigeni.
Sono note 5 classi di Ig (dette M, A, G, D ed E). I linfociti “vergini” sono evidenziabili appunto grazie alla molecola IGM+. Una volta che l’agente patogeno viene circondato da anticorpi sensibili a uno o più antigeni del patogeno stesso, viene attivato il sistema del complemento che provvede alla lisi del patogeno e richiama i macrofagi che “divorano” il patogeno.
Il linfocita B può anche usare un sistema di opsonizzazione limitandosi a rendere il patogeno riconoscibile al macrofago oppure, in caso di presenza di tossine, può provvedere a neutralizzarle affinché sempre il macrofago (lo spazzino dell’organismo) possa poi distruggerle.
I linfociti T riescono invece a riconoscere un antigene solo se esso viene “presentato” sulla superficie di una cellula complessato con le proteine del Complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), e non quindi nella sua forma solubile. I linfociti T possiedono un sistema di recettori, TCR/CD3, tramite i quali riescono a riconoscere il peptide antigenico, presente in un complesso con le proteine dell’MHC. Inoltre i superantigeni possono anche attivare in modo piuttosto aspecifico una grande popolazione di cellule T legandosi direttamente alle molecole MHC espresse su queste cellule senza che sia necessario il processamento. Queste sostanze sono prodotte da vari microorganismi come ad esempio streptococchi e stafilococchi.
Secondo quanto riportato nell’ultimo numero della rivista Journal of Experimental Medicine, nella maggior parte dei soggetti colpiti dall’HIV che non ricevono una terapia antiretrovirale, il virus si replica continuamente, determinando disturbi a livello sistemico che comprendono variazioni in alcuni sottotipi di linfociti B che circolano nel sangue.
Uno di questi sottotipi, noto come cellule B della memoria (tissue-like memory B cell) si trova abbondante negli individui con HIV che non controllano la loro carica virale. Queste particolari cellule mostrano segni di esaurimento prematuro e una ridotta capacità di produrre anticorpi di alta qualità necessari per combattere l’infezione.
In un soggetto sano, infatti, le cellule B della memoria, particolari tipi di linfociti B che si originano per la prima volta durante la risposta immunitaria primaria, continuano a vagare nell’organismo in cerca dell’antigene e nel caso tali cellule scovino un antigene specifico per la seconda volta, la risposta immunitaria (chiamata ora secondaria) è estremamente più rapida.
Insieme con gli studi sulle cellule CD4+ e CD8+ T esaurite, questi nuovi risultati relativi alle cellule B consentono di chiarire il complesso danno a carico del sistema immunitario causato dall’HIV, costituendo la premessa per l’ardua sfida di ricostruirlo.
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