Il biomateriale, come dice la parola stessa, è un materiale progettato per un uso prolungato a contatto diretto con i mezzi biologici e che deve quindi minimizzare le possibili reazioni avverse da parte dell’organismo vivente. à‰ possibile distinguere i biomateriale in 3 gruppi: il primo in base agli effetti che l’organismo induce sul materiale estraneo (biostabili e biodegradabili), il secondo in base all’interfaccia materiale tessuto (bioinerti, biotossici, bioriassorbibili e bioattivi) e il terzo in base alla composizione chimica (polimeri, ceramiche, metalli e compositi ad esempio tessuti fibrorinforzati). Un materiale si dice biostabile quando non viene alterato dai fluidi biologici, viceversa si dice biodegradabile quando subisce una trasformazione chimica che ne altera o modifica le proprietà . Bioinerte è un materiale che non induce il tessuto ad interagire con esso, ma non da vita nemmeno a fenomeni di intolleranza. Biotossico è un materiale che provoca una reazione negativa da parte dell’organismo. Questo fenomeno può rendere necessaria la rimozione del manufatto dal paziente. Bioriassorbibile è un materiale che una volta al’interno del paziente subisce una lenta, ma progressiva degradazione la cui cinetica viene calcolata e studiata in base al tipo di struttura che si vuole ottenere. Bioattivo è un materiale che induce l’organismo ad interagire con l’impianto in maniera positiva, senza che i due sistemi si danneggino vicendevolmente. Biocompatibilità è la proprietà di un biomateriale di non provocare reazioni dannose nel sistema vivente con cui entra in contatto. Più precisamente si può definire come la capacità di un materiale di determinare, da parte del paziente, una reazione il più possibile favorele.
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